IL FONDATORE DI SLOW FOOD NON HA DUBBI: “SIAMO DAVANTI A UNA PERSONA CHE LASCERÀ UN SEGNO INDELEBILE NELLA STORIA. BISOGNA RIDARE VALORE AL CIBO. MIO NONNO QUANDO FINIVA DI MANGIARE RACCOGLIEVA LE BRICIOLE E NEL MERIDIONE, QUANDO CADEVA IL PANE, SI RACCOGLIEVA BACIANDOLO… OGGI, INVECE, SIAMO NEL PIENO DELLA PRATICA DELLO SPRECO CON MILIONI DI TONNELLATE DI CIBO GETTATI…” Quando l’ultima fiamma sarà spenta, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce catturato, allora capirete che non si può mangiare denaro». Questa bellissima considerazione attribuita a Toro Seduto avrebbe benissimo potuto portare la firma di Carlo Petrini, 64 anni, nativo di Bra, in provincia di Cuneo. Il suo chiodo fisso, infatti, è da sempre la cultura del cibo, in particolare tutto quello che c’è dietro ogni prodotto finito. Stiamo parlando di un personaggio straordinario, a tutto tondo, supportato da una grande intelligenza e da una non comune capacità di leggere l’orizzonte. Ha messo il timbro in tantissime iniziative impegnandosi anima e corpo nella difesa dell’amata terra. Da alcune sue geniali intuizioni, tanto per dare la misura dell’autorità che ci troviamo di fronte, sono nate realtà uniche nel panorama mondiale, come ad esempio Slow Food, Terra Madre e l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo.
La prima è un’associazione internazionale senza scopo di lucro che si pone come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell’enogastronomia, innanzitutto come un piacere. In pratica è nata come risposta al dilagare del fast food e alla frenesia della vita moderna. Studia, difende e divulga le tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni angolo della terra.
Terra Madre, invece, nata da una costola di Slow Food, riunisce tutti coloro che fanno parte della filiera alimentare e vogliono difendere l’agricoltura, la pesca e l’allevamento sostenibili, per preservare il gusto e la biodiversità del cibo. Una grande rete mondiale il cui obiettivo è continuare ad avere terre fertili, dove germoglino e crescano piante e animali adatti a quei particolari ambienti, piuttosto che dopati con sostanze chimiche che li fanno fruttare o ingrassare artificialmente. E per far questo c’è bisogno di persone in grado di custodire terre, saperi e cibi.
La terza creatura di Carlo Petrini, invece, è l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. È venuta alla luce con l’obiettivo di creare un centro internazionale di formazione e di ricerca, al servizio di chi opera per un’agricoltura rinnovata, per il mantenimento della biodiversità e per un rapporto organico tra gastronomia e scienze agrarie. L’unicità dei suoi corsi ha consentito di attirare a Pollenzo studenti da tutto il mondo interessati all’originale formula didattica, al progetto formativo che coniuga studio e pratica, libri e testimonianze di vita, scienza, cultura manageriale, sapere artigiano e contadino, oltre alla fondamentale peculiarità dei viaggi didattici che favoriscono l’incontro con chi realmente produce. Nella splendida sede incastonata nel verde cuneese, sono attivi diversi corsi di laurea, master e corsi di alto apprendistato.
Ma torniamo all’ideatore di tutto questo nonché vincitore di diversi premi tra cui il titolo, nel 2004, di Eroe Europeo del nostro tempo nella categoria Innovator. Tra un viaggio in una delle tante comunità sparse nel mondo e un convegno internazionale, l’ideatore del Salone Internazionale del Gusto di Torino trova pure il tempo di scrivere libri. Recentemente ha mandato in libreria Cibo e Libertà (Giunti Editore e Slow Food Editore, pp.185, euro 12,00). Un bellissimo volume dove fa rivivere la sua straordinaria avventura di gastronomo, di leader contadino e di organizzatore infaticabile.
Un altro suo libro interessante, Terra Madre, l’aveva inviato lo scorso settembre a papa Francesco, insieme a un altro suo scritto sull’emigrazione piemontese. Carlin, così come è conosciuto il fondatore di Slow Food, non s’immaginava però che quel piccolo omaggio al papa venuto “dall’altra parte del mondo” potesse riservargli uno sviluppo inaspettato quanto gradito. Ma facciamocelo raccontare da lui, a Pollenzo, nel suo ufficio all’interno dell’università, dove sono andato a trovarlo.
Cosa ha pensato, Petrini, quando rispondendo a una chiamata sconosciuta sul cellulare si è sentito dire “Salve, sono papa Francesco…?”
C’è stata tanta sorpresa, d’altra parte ricevere la telefonata di un papa non è roba da tutti i giorni…
Ma neanche per un attimo ha pensato a uno scherzo, magari che dall’altra parte del telefono ci fosse Maurizio Crozza…?
No, non ho avuto dubbi in quanto è entrato subito nell’argomento citando la lettera che gli avevo inviato tempo fa insieme al mio libro Terra Madre e un articolo che avevo scritto per Repubblica in occasione della visita del pontefice a Lampedusa. Nell’articolo avevo messo in evidenza la sua origine di figlio di emigranti e quindi il fatto che avvertisse anche sulla sua pelle l’epopea dell’emigrazione italiana. Un’emigrazione verso le Americhe che aveva avuto anche i suoi morti. Citavo, infatti, il piroscafo Principessa Mafalda che il 25 ottobre 1927 affondò davanti a Rio de Janeiro provocando oltre 300 morti. Essendo entrato subito nel merito capii, dunque, che si trattava proprio di papa Francesco. L’originale…
Cosa l’ha colpita di più di papa Bergoglio?
La sua straordinaria naturalezza. Abbiamo chiacchierato per circa mezz’ora parlando inizialmente di tutte le tematiche dell’emigrazione. Mi ha detto che suo padre e suo nonno avrebbero dovuto imbarcarsi proprio sulla Principessa Mafalda che affondò in Brasile. All’ultimo momento, però, per una questione economica rinviarono il viaggio nel 1929 salvando così la vita… Mi disse anche che i suoi genitori gestivano un piccolo caffè a Torino, in via Garibaldi. Successivamente mi ha parlato di Terra Madre, dell’economia della sussistenza che per troppo tempo – purtroppo anche oggi – viene a torto ritenuta miserevole. Invece è la base dell’agricoltura che come elemento fondante ha appunto l’economia della sussistenza. Negli ultimi quarant’anni abbiamo pensato che non fosse all’altezza dei tempi dando così spazio all’economia finanziaria, dell’accaparramento. Un errore madornale…
Anche papa Francesco la pensa così?
Assolutamente sì. Ha condiviso la mia analisi raccontandomi ciò che sua nonna ripeteva spesso…
Cioè?
Che nel sudario, quando si muore, non ci sono le tasche per metterci soldi…
Avete affrontato anche l’argomento fede?
Ne abbiamo parlato…
E lei gli ha confessato di essere agnostico?
Certamente, glielo avevo già scritto nella lettera. E quando mi ha raccontato di suo padre che avrebbe dovuto imbarcarsi nel 1927 sul piroscafo naufragato gli ho fatto notare, allora, che quell’episodio era fatto apposta per dare un colpo al mio agnosticismo. Un motivo in più per credere… Se suo padre si fosse imbarcato, infatti, oggi non avremmo papa Francesco…
Ma il suo agnosticismo da dove nasce?
Non riesco a credere nelle forme e negli stili di una fede dove, tra l’altro, sono cresciuto…
Ma la bellezza della terra e quindi della natura non basta da sola a provare l’esistenza di Dio?
Io do valore alla spiritualità come dimensione e punto dello spirito. Che poi si possa manifestare attraverso la fede religiosa, un amore, una reciprocità tra i viventi, un rapporto bello con la natura che ci circonda, attraverso altre mille forme, non ha importanza. Insomma, credo che una dimensione spirituale sia assolutamente indispensabile per l’umanità e per ogni essere vivente. Non riesco però a immaginarla nelle dimensioni della mia religione di origine.
Quindi il suo agnosticismo non è datato…
Assolutamente no. Per tanti anni sono stato un credente…
Di conseguenza nel corso della vita ci sono stati momenti in cui si è confrontato con Dio, magari chiedendogli anche aiuto…
Assolutamente sì. Comunque nella chiacchierata con papa Francesco mi sono tolto anche un sassolino che avevo nella scarpa…
Di che tipo?
Siccome poco prima mi aveva parlato di sua nonna, ho voluto raccontargli della mia. Una donna credente che mi ha educato alla fede cattolica. All’inizio dell’altro secolo mia nonna aveva sposato un socialista che, successivamente, era diventato uno dei fondatori del partito comunista. Lei, però, era rimasta fedele sia alla fede, sia al marito comunista… All’epoca si viveva nella cosiddetta guerra fredda, un periodo che Giovannino Guareschi ha magistralmente raccontato nella bellissima serie Peppone e Don Camillo, anche se tempi e circostanze erano più duri di quelli descritti dallo scrittore parmense.
Ma sua nonna in tutto questo cosa c’entra?
Ci arrivo… Dopo il riconoscimento del diritto di voto alle donne mia nonna aveva sempre scelto il partito comunista. Un giorno, dopo la scomunica decretata da papa Pio XII a tutti i comunisti, mia nonna andò a confessarsi come abitualmente faceva. Una volta nel confessionale, però, il prete della parrocchia di Bra le chiese a quale partito votava… Mia nonna, colta di sorpresa, prese un po’ di tempo. Poi, superato l’imbarazzo, rispose che votava, come aveva sempre fatto, al partito di suo marito. Il prete, allora, le chiese quale fosse e lei le rispose che si trattava del partito comunista.
Quale fu la risposta del prete?
“Lo sa, signora, che io non posso darle l’assoluzione?”,
E sua nonna?
Con molta educazione e senza protervia rispose: “Se è così, allora, l’assoluzione se la tenga…”.
E papa Francesco come ha commentato l’episodio?
Si è messo a ridere… A quel punto, allora, gli ho chiesto se potevo raccontargli un’altra cosa. Un modo di dire piemontese che riguarda i preti…
E lui?
“Prego, mi dica…”. E io: “Chi fa come il prete dice va in paradiso; chi fa come il prete fa a casa del diavolo va…”.
Ma è un detto irriverente… Qual è stata la reazione del papa?
In effetti, mi ha risposto, è un po’ anticlericale però anche nel vangelo si fa riferimento ad alcuni farisei che predicano in un modo ma poi si comportano male… Allora, gli dissi, ci troviamo d’accordo sulla teologia delle nonne… Ma non è finita qui…
Cioè?
Dopo una settimana mi è arrivata una lettera di papa Francesco nella quale si rallegrava della nostra conversazione telefonica. In particolare mi diceva che la risposta di mia nonna al prete lo faceva ancora sorridere… E si complimentava con lei. In pratica un prete si era rifiutato di darle l’assoluzione mentre un papa, a distanza di anni, aveva avuto parole di apprezzamento per mia nonna… Nella lettera, poi, il pontefice ribadiva il suo sincero apprezzamento per Slow Food e Terra Madre incoraggiandomi ad andare avanti nella mia opera. “Le chiedo gentilmente – terminava poi la lettera – di ricordarmi nelle sue buone intenzioni…”. Pensa te… Questa è la vera spiritualità, quella che non pone barriere tra l’agnostico, il credente, il non credente, le diverse fedi. La vera spiritualità trova modi di dialogare con tutti. Questa è la grandezza di papa Francesco. Siamo davanti a una persona speciale che lascerà un segno indelebile nella storia.
A proposito di Terra Madre, qual è il segreto per non farci mangiare dal cibo, come ammonisce lei nel libro?
Bisogna ridare valore al cibo visto che negli ultimi cinquant’anni ci siamo dimenticati di farlo…
In che modo?
Mio nonno, ad esempio, quando finiva di mangiare raccoglieva le briciole… Nel meridione d’Italia quando cadeva il pane si raccoglieva baciandolo… Oggi, invece, siamo nel pieno della pratica dello spreco che ha assunto dimensioni bibliche. Basta pensare ai milioni di tonnellate di cibo che quotidianamente buttiamo…
La produzione alimentare negli ultimi anni è cresciuta, l’obesità anche ma i morti di fame non diminuiscono, dove sta l’inghippo?
Sono due facce della stessa medaglia, però con una differenza: gli obesi e i malati per ipernutrizione se la vanno a cercare, i morti di fame, invece, la subiscono come violenza.
Secondo lei, come se ne esce da questo circolo vizioso?
Innanzitutto, come dicevo prima, ridando il giusto valore al cibo. Bisogna conoscerlo, vedere chi c’è dietro, considerare il lavoro delle persone e il rispetto della natura. Occorre acquisire il concetto che il cibo non è solo materialità, bensì contiene tante altre cose: storia, patrimonio, ambiente, spiritualità. Aspetti che abbiamo purtroppo dimenticato.
Nel libro Terra Madre afferma che saranno i contadini a salvare il mondo. In che modo?
I contadini sono quelli che sono rimasti più vicini a questo tipo di filosofia, se non altro perché la terra la lavorano e quindi conoscono cosa vuol dire produrre cibo. Noi, invece, che il cibo non lo conosciamo, ci permettiamo il lusso di sprecarlo. Pensiamo solo al prezzo, ma c’è una bella differenza tra il valore e il prezzo. Il prezzo è un volgare elemento di scambio, il valore invece un’altra cosa. Dietro, appunto, c’è il lavoro di tante persone, c’è la natura, c’è l’ambiente, la convivialità, la spiritualità. La valorialità esige un approccio complesso verso il cibo che non può essere solo determinato dal prezzo.
Perche lei è contro gli Organismi geneticamente modificati?
Innanzitutto perché gli Ogm inquinano i campi vicini… In pratica determinano una sorta di contaminazione che, di fatto, non garantisce la libertà a chi, ad esempio, vuole dedicarsi al biologico. Se ad esempio i due terreni sono confinanti, con il trasporto delle sementi – attraverso l’aria o gli insetti – l’inquinamento è molto probabile… Inoltre oltre a consumare molta acqua gli Ogm non danno tutta quella resa che viene da più parti sbandierata. E poi sono in mano ad alcune multinazionali. Non sono semi liberi, delle comunità. Purtroppo in questo processo di cinquant’anni abbiamo portato il seme, che è l’essenza della vita, a diventare una proprietà privata. Oggi l’80% dei semi del mondo è in mano a cinque multinazionali; il giorno in cui acquisiranno anche il restante 20% non esisterà più l’agricoltura libera. Saremo tutti i dipendenti delle multinazionali. Gli Ogm, d’altra parte, sono stati realizzati per essere proprietà di chi li ha studiati e creati.
Cos’è per lei il diritto al cibo?
Avere l’opportunità di scegliere cosa seminare, cosa mangiare e garantire alla mia comunità il massimo di sovranità alimentare. Detto questo, noi tutti sappiamo che il cibo è energia per la vita e se non lo garantiamo a tutti perpetriamo un’ingiustizia macroscopica. Ed è proprio la vergogna in cui ci troviamo a vivere in questo ventunesimo secolo. Un tempo dove ci sono ancora bambini che muoiono di fame, gente malnutrita a causa di questa assurda ed enorme violenza che viene perpetrata nei confronti dell’umanità.
In Cibo e Libertà afferma che non c’è bisogno di andare in Bangladesh se non si capisce cosa succede in Campania…
Credo sia noto a tanti che in India ci sono intere aree inquinate da industrie chimiche e similari. È altrettanto sotto gli occhi di tutti, però, ciò che ha fatto la criminalità organizzata in Campania sotterrando rifiuti nocivi che, negli anni a venire, rappresenteranno un sigillo negativo per l’agricoltura in quel territorio. È un crimine gravissimo. La nostra madre terra, dunque, non ha il rispetto che meriterebbe da chi, nella piena superbia, non è minimamente cosciente che egli stesso è terra e nella terra tornerà… Può darsi che finisca l’umanità, la terra certamente no…
Restando al problema dell’inquinamento ambientale, il cibo che arriva oggi sulle nostre tavole in che percentuale è sicuro?
Direi che la sicurezza alimentare, se viene codificata attraverso standard di garanzia, rispetto alle malattie e all’inquinamento è abbastanza avanti nel nostro paese. Però bisogna intendersi su ciò che s’intende per sicurezza alimentare. Molti, infatti, la legano solo alla probabilità di contrarre delle malattie. Il fatto però che ci sia tutto questo spreco e quindi l’esistenza di una forma di malattia collettiva allo spreco, quest’ultima passa inosservata. Noi non dobbiamo considerare solamente il discorso relativo al cibo che fa male o a quello che fa bene… A me, ad esempio, fa male che ci siano persone che muoiono di fame, che ci sia la distruzione dell’ambiente… Io non avverto dei sintomi classici tipo mal di pancia o vomito, bensì malanni psicologici….
Biologico vuol dire qualità o business?
Tutt’e due le cose. Quando il biologico è fatto bene ed è locale è importante; quando invece assume una dimensione di business internazionale intensivo non va più bene.
Politicamente lei, come è accaduto per la fede, ha vissuto cambiamenti?
Ero e resto un uomo di sinistra che dà valore a questa dimensione dal punto di vista filosofico.
Cioè?
Secondo me la sinistra ha un’attenzione particolare verso i più deboli e i sofferenti. La mia idea, dunque, non è mai mutata negli anni. A cambiare, invece, sono stati i contenitori.
Quale giudizio ha della nostra classe politica?
Lo stesso di tanti italiani, cioè abbastanza negativo. Però mi ci metto anch’io dentro, non ho nessuna voglia di fare colui che punta sempre il dito. Se i politici infatti sono così è perché anche una buona parte di noi è così… Mi fa amarezza il fatto che questo straordinario popolo non coltivi neanche la memoria di quello che è stato e quindi perda anche il senso della fraternità e della solidarietà. Noi eravamo un popolo di emigranti, ma non nel medioevo, bensì due/tre generazioni fa. Di colpo, però, ce ne siamo dimenticati. Significa che ci siamo un po’ imbarbariti e la politica, purtroppo, esprime anche il nostro imbarbarimento spirituale…
Nel corso delle tante battaglie a favore di un’agricoltura maggiormente “compatibile”, dove si è schierato apertamente contro lo strapotere dell’industria agro-alimentare, ha mai ricevuto minacce tali da farla riflettere sull’opportunità di continuare su quella strada?
No, devo essere onesto, non mi è mai accaduto. Ciò, però, mi fa riflettere…
Cioè?
Evidentemente contiamo poco e quindi non facciamo paura più di tanto… Io sono dalla parte dei piccoli contadini, sono per la produzione in piccola scala, per i tanti artigiani di questo paese. Nello stesso tempo, però, non sono contro l’industria alimentare. Ritengo, infatti, che possano convivere sia un buon artigianato, sia una buona produzione in piccola scala e sia una produzione industriale. L’importante è che ci sia rispetto e che comunque venga preservato il concetto di buono, pulito e giusto. Cioè che ci sia la bontà organolettica del prodotto, la pulizia, la certezza che non si inquini l’ambiente e infine che ci sia giustizia sociale.
E in tutto questo quale dev’essere oggi il ruolo del consumatore?
Deve diventare come un produttore, il termine consumatore non mi piace. Dobbiamo diventare coproduttori avendo a cuore chi produce il cibo, avendo il senso della condivisione e avendo l’educazione per conoscere il cibo. Con questi tre elementi, dunque, non sono più un consumatore passivo ma divento un coproduttore, o meglio un consumatore cosciente. Il termine coproduttore mi piace perché significa che in qualche misura sono parte attiva della produzione. Siamo un tassello importante. E poi essere coscienti di questo significa rispettare chi ha lavorato prima di noi.
Perdoni la banalità, ma qual è il menù ideale di Carlo Petrini?
La curiosità, e mi fermo qui. Questa è una domanda che mi fanno tutti…
Infatti mi sono preventivamente scusato…
Ci mancherebbe, lo capisco benissimo, giornalisticamente è una domanda da mettere in scaletta… La curiosità a cui mi riferisco è quella che determina il rispetto verso le altre culture. Io, ad esempio, viaggiando molto, non è che se mi trovo in Cile per mangiare devo mettermi alla disperata ricerca degli spaghetti… Occorre avere un’attenzione verso le altre gastronomie. Infatti non esiste identità senza scambio. Un esempio? Uno dei piatti identitari della gastronomia italiana è sicuramente la pasta con il pomodoro. Bene, anzi male visto che entrambi gli ingredienti non sono italiani… La pasta, infatti, arriva dall’oriente mentre il pomodoro dalle Americhe…. Un altro esempio? Il piatto identitario di noi piemontesi è la bagna càuda che si fa con l’olio e le acciughe. Lei riuscerebbe a trovare un’acciuga nel Po o nel Tanaro…? E poi ancora: il piatto identitario dei vicentini è il baccalà con la polenta, dove il baccalà arriva dalla Norvegia e il mais dalle Americhe…
Dunque?
È lo scambio che vivifica la nostra cultura, il nostro piacere e la nostra identità. La storia della vita e della gastronomia non è nient’altro che l’espressione dello scambio; le spezie, ad esempio, hanno cambiato tutta la nostra storia, persino la religione. Chi entra in chiesa, infatti, e sente l’odore dell’incenso, deve ringraziare l’oriente che ci ha permesso di conoscere questa spezia. Bisogna allora vivere questa dimensione in maniera gioiosa.
In che modo?
Condividendo pienamente un valore che è poco considerato: la fraternità. Dobbiamo rafforzare il concetto di fraternità, che poi era uno dei tre valori della rivoluzione francese. Per l’uguaglianza si è versato tanto sangue, stessa cosa per la libertà, mentre alla fraternità è stato lasciato il ruolo di cenerentola… Nessuno ha capito, invece, che la fraternità era alla base degli altri due valori per i quali si è combattuto e si è morti.
Che ne pensa Petrini dell’overdose di trasmissioni televisive su cibo e cucina?
Ritengo la gastronomia una scienza molto complessa e multidisciplinare, direi quasi olistica dove dentro c’è di tutto. Questo elemento mediatico che si usa oggi – non c’è trasmissione o rivista che non contenga una ricetta – è una parte della gastronomia. Se questo aspetto resta nelle giuste dimensioni, diventa una parte importante della gastronomia. Se invece si esagera, rischiando addirittura di trasformarla in una sorta di pornografia alimentare…, vuol dire che non abbiamo capito il concetto di complessità.
Oggi Carlo Petrini a chi consiglierebbe l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo?
A quei giovani che vogliono vivere questa complessità e poi applicarla nelle straordinarie potenzialità che la storia in questo momento offre ai gastronomi. La prova provata di ciò che dico è che il 91% dei nostri studenti, una volta completati gli studi, trova lavoro entro sei mesi. Questo perché c’è una grande domanda. Noi, tra l’altro, abbiamo anche il compito di rigenerare quello che in parte abbiamo distrutto.
Ad esempio?
Saperi antichi, piccole produzioni. La gente non ci sta a perdere questo patrimonio. La nostra università può offrire sbocchi incredibili: quest’anno, ad esempio, abbiamo aperto corsi per panettieri, salumai e microbirrai. Si può scegliere di fare il contadino, abbiamo gente che lavora nelle istituzioni, alla Fao, nel mondo del diritto europeo. Abbiamo docenti di gastronomia che sono andati a insegnare anche in America. In pratica abbiamo opportunità per tutte le scienze gastronomiche.
Ma in questi anni nessuno ha pensato di clonare il vostro modello?
A livello internazionale facoltà di questo tipo ne stanno nascendo tante, la differenza però la fanno Slow Food e Terra Madre che sono alla base di tutto. Basta pensare che i nostri studenti ogni anno fanno due mesi e mezzo di stage e quindi vanno nelle varie comunità. Al mondo non ci sono università che fanno una cosa simile. Inoltre la nostra università è esclusivamente vocata alle scienze gastronomiche.
Immagino abbiate molti studenti stranieri…
Sì ed è un elemento importante per capire la nostra diversità. Il 54% degli studenti non è italiano e tra le nostre aspettative c’è di innalzare questa percentuale almeno fino a 60. Attualmente con 500 studenti sono rappresentati ben 72 paesi del mondo… Lo studente italiano, quindi, interagisce con quello africano, cinese, giapponese o nordamericano.
A proposito di università, quest’anno avete due decennali particolarmente importanti…
Proprio così. Il primo riguarda appunto i 10 anni della nostra università. Io sono agnostico ma questo è proprio un miracolo… Sono molto orgoglioso di questo, anche perché sono più di 1500 gli studenti che usciti dalla nostra università portano nel mondo la filosofia di Pollenzo. L’altro decennale, invece, riguarda Terra Madre, anch’essa una realtà straordinaria che cresce e si sviluppa. E guardandoci indietro possiamo dire che ci ha cambiato la vita mutando anche il concetto di gastronomia. Senza Terra Madre, infatti, saremmo rimasti dentro l’alveo di una gastronomia da pancia piena. Invece ci ha insegnato che la gastronomia esiste anche dove non ci sono ricchezze. L’essenza vera della gastronomia, infatti, è la fame. Tutto quello che noi oggi esaltiamo, il patrimonio, il made in Italy, la cucina italiana, eccetera viene tutto dalla fame. E nel momento in cui oggi siamo portati a valorizzare la cucina “stellata”, generalmente con interpreti tutti maschili, ci dimentichiamo che l’elemento fondante della cucina sono invece milioni di donne che, in ogni angolo del mondo, con poche risorse hanno realizzato i più grandi piatti dell’umanità. Il tutto senza ricevere neanche…
…una stella…
Una stella? Macché, neanche un grazie… Questa riflessione ce l’ha insegnata Terra Madre. Noi, ad esempio, sappiamo cosa significa la gastronomia per l’Africa o per l’America Latina dove si sta rendendo onore al lavoro dei contadini.
Il quotidiano inglese The Guardian l’ha posizionato tra le 50 persone che potrebbero salvare il pianeta, Vittorio Sgarbi l’aveva indicato come candidato premier del suo movimento politico, Michele Santoro come probabile ministro, altri come possibile presidente della Repubblica, altri ancora come candidato al Premio Nobel per la Pace… Chi, secondo lei, ci aveva visto bene…?
Nessuno… C’è un modo di dire piemontese che consiglierei a tutti di ripeterlo ogni giorno. Voi cattolici fate il cosiddetto esame di coscienza, noi agnostici, invece, al termine di ogni giornata dovremmo fare questo esame finale la cui sintesi è la seguente: non esagerare mai. Quindi se sono una delle 50 persone che potrebbero salvare il nostro pianeta vuol dire che siamo proprio messi male… Ringrazio per tutti gli attestati di stima ricevuti, ma ho già un bel compito da portare avanti…
Resta il fatto, comunque, che c’è tanta stima intorno alla figura di Carlo Petrini. Un apprezzamento per certi versi anche bipartisan…
Questo non mi dispiace affatto, in fondo non coltivo inimicizie, anche perché non serve. Serve invece essere onesti nel dire ciò che si pensa.
Le fa paura la morte?
No, direi proprio di no.
Cosa, allora, le toglie il sonno?
La sofferenza, come anche lo spegnersi della vita senza lucidità mentale… Nessuno può evitare quest’ultimo viaggio, neanche il più ricco o il più famoso. Ci arriveremo tutti e in qualche misura, questo, lo trovo anche bello…