Ogni dieci anni il cinema italiano sembra rinascere. Supera la crisi e si rigenera con registi e sceneggiatori che poi si impongono nel mondo. Come Paolo Sorrentino. La sua vittoria racconta molto su quanto gli americani subiscano il fascino dell’evocazione di un certo tipo di cinema che loro non sanno fare. Poi c’è il problema dei soldi. Un film costa. Gabriele Muccino ha avuto la difficoltà della lingua. Girare in inglese per lui è stato complicato. “Io parlavo un inglese turistico ma ce l’ho fatta perché ho cercato di comprendere una cultura a me estranea”. Nella manciata degli autori d’esportazione mette Garrone, Sorrentino, Virzì, Tornatore, Salvatores. Gianfranco Rosi ha fatto il percorso opposto: ha studiato cinema e vissuto a New York negli anni ottanta, quando era terreno fertile di sperimentazione. Tra i professori c’erano i Coen, Spike Lee, Scorsese. I suoi film di successo in America sono stati Boatman ed El sicario-Room 164. Below the see level, girato tra i senzatetto nel deserto californiano, invece non è piaciuto, mostrava quella crisi che gli americani non erano ancora pronti a guardare e che li avrebbe travolti. Sacro Gra è stato il suo primo film italiano. È stato venduto in 26 paesi inclusa Cina e Giappone. Lui pensa che questo sia un momento molto positivo per il nostro cinema: “Ha un linguaggio che si afferma all’estero, è vario”. Di formazione inglese, invece, il regista e produttore Uberto Pasolini: viene dal mondo anglosassone dove c’è una squadra, un produttore che è ideatore, cui poi si aggiungono lo sceneggiatore e il regista. “Non sono un autore, solo il motore di un film”.
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