La montagna abruzzese continua a spopolarsi. La montagna abruzzese attrae solo turisti della domenica e nemmeno tanti. La popolazione abruzzese, ormai, da anni tende a concentrarsi lungo la costa. Le dinamiche demografiche trovano spiegazione, prevalentemente, nei fattori economici, ma anche nei meccanismi sociali e culturali. La gente va dove ci sono lavoro, commercio, sviluppo economico; dove ci sono servizi (trasporti, scuole, asili, ospedali, uffici postali); dove la burocrazia è meno farraginosa. I giovani hanno bisogno di cultura, di strutture e di associazioni capaci di produrla (teatri, cinema, auditorium). La gente si concentra dove per riscaldarsi durante l’inverno non occorre una parte cospicua del reddito prodotto con il lavoro; dove per spostarsi da una località a un’altra con i mezzi pubblici non si debba spendere un’intera giornata; dove gli anziani possono trovare centri sociali e strutture di aggregazione.
Tutto questo nelle zone interne si trova in sedicesimo rispetto all’area costiera dell’Abruzzo. Coloro che vivono all’interno di fatto si trovano in una condizione di oggettivo svantaggio economico, sociale e culturale. I ceti dirigenti del passato per le zone interne hanno immaginato, giustamente, uno sviluppo legato alla valorizzazione della risorsa ambientale. Questa scelta è stata riconfermata anche in anni recenti. “Abruzzo Regione Verde d’Europa” si disse con uno slogan che doveva attrarre risorse nazionali ed europee nelle aree interne dell’Abruzzo. Niente di tutto questo. Le risorse non sono arrivare o solo in minima parte, mentre i vincoli sono rimasti tutti interi: quelli urbanistici, produttivi, turistici. Conservare la natura è un bene fondamentale, ma agli abitanti delle aree protette bisogna restituire in termini di politiche specifiche quello che con l’altra mano si è tolto in termini di pari opportunità di sviluppo. Invece, le politiche per la montagna sono state prevalentemente considerate un fastidioso e antistorico modello assistenzialistico da gettare al più presto alle ortiche. Del resto gli abitanti delle zone interne è vero che per riscaldarsi spendono molto di più di coloro che vivono lungo la costa, ma risparmiano sui trasporti pubblici che non ci sono (tratte ferroviarie dismesse, strade dissestate e ostruite da frane e smottamenti o bloccate da neve durante l’inverno). È vero che spendono di più per vestirsi, ma risparmiano sulla spesa grazie all’autarchia alimentare (orticello e pollaio dietro casa). Insomma, a voler essere obiettivi le opportunità tra chi vive lungo la costa e chi, invece, si ostina a rimanere all’interno, sono parimenti assicurate. Non è responsabilità di nessuno se l’intero apparato industriale della regione si trova concentrato sulla costa; se l’agroindustriale delle zone interne si è dissolto come neve al sole.
Più che lamentarsi gli abitanti della montagna dovrebbero ringraziare i nostri assennati politici (e non solo quelli di oggi) se possono ancora godere di un’aria salubre e di ambienti incontaminati: una vita idilliaca che gli abitanti delle grandi città pagherebbero a peso d’oro. Accomodatevi.