Lo scontato esito del referendum pro-Russia in Crimea inquieta per la palese violazione di accordi internazionali (quello sull’integrità territoriale dell’Ucraina fu firmato nel 1994 anche da Mosca) e riporta alla memoria i fantasmi di settantacinque anni fa. Allora la Germania di Hitler, dopo aver annesso l’Austria, “difese” la minoranza tedesca dei Sudeti occupando e smembrando la Cecoslovacchia, anticipo dei cinque anni della seconda guerra mondiale, con milioni di morti, fra soldati e civili, e immense distruzioni materiali. Se le pretese di Vladimir Putin si estendono ad altre zone dell’Europa orientale (la Transnistria, la Moldavia o, addirittura, la Georgia e, perché no, i paesi baltici membri dell’Ue) con la scusa di tutelare le minoranze russe, la crisi rischia di diventare incontrollabile.
La crisi comincia con il rifiuto del presidente ucraino Viktor Yanukovich di firmare un accordo con l’Unione Europea e continua con la repressione sempre più dura a Kiev e in altre città delle manifestazioni filoeuropee di protesta da parte di centinaia di migliaia di ucraini, causando almeno trecento morti e migliaia di feriti; si passa alle pressioni di Mosca con la minaccia di un intervento armato, attuato poi in Crimea con l’invio di soldati russi ma senza insegne nazionali (ciò dimostra la consapevolezza di un comportamento quanto meno scorretto); e si giunge all’arroganza delle dichiarazioni pubbliche (addirittura con lo spauracchio di una guerra nucleare) e al referendum svoltosi in Crimea in condizioni dubbie a favore dell’annessione alla Russia.
All’apparenza il presidente Vladimir Putin ha avuto partita vinta, con il blitz contro il debole vicino ucraino. Nella sostanza, l’insieme degli avvenimenti rivela la debolezza di Mosca che vede svanire un disegno coltivato con determinazione: recuperare l’influenza che aveva avuto l’Unione Sovietica prima del crollo del 1989 attraverso un sorta di unione europea dell’Est, nella quale l’Ucraina – dopo la Russia il paese più popoloso – svolgesse un ruolo importante come cuneo nel continente e antemurale nei confronti della Polonia e dei paesi baltici, sempre molto critici verso la politica del Cremlino.
Non si tratta soltanto della volontà dei cittadini russofoni della Crimea di “tornare” alla madrepatria (ricordiamo che la penisola fu “regalata” sessant’anni fa dal successore di Stalin, Nikita Krusciov), ma anche della necessità di non violare le regole internazionali. E, in aggiunta, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Nato non sono disposti a riconoscere i risultati della consultazione, ritenendo si tratti di un pericoloso precedente: Pechino potrebbe sentirsi autorizzata, ad esempio, a comportarsi allo stesso modo nei confronti di Taiwan, sempre rivendicata come parte integrante della nazione cinese, o di isole giapponesi che pretende le appartengano.
La Russia, anche se fa la voce grossa, sta attraversando un periodo di mancato sviluppo industriale e ha già pagato le sue intemperanze militari con il crollo del rublo sui mercati internazionali. Non bastano gli idrocarburi di cui è ricca, e che le servono come mezzo di ricatto, se non se ne sanno impiegare i proventi, come sta accadendo, a favore di tutti. A Mosca cinquantamila persone che hanno manifestato contro le vicende ucraine sono state disperse con durezza dalla polizia. Segno di un malessere che non si risolve con una offensiva nazionalista che dovrà fermarsi, a scanso di esplosioni maggiori.