FUORI DALL’EUROPA IL CALCIO ITALIANO

Non è che alla vigilia dei Mondiali il calcio italiano, sia pure il calcio italiano di club, abbia dato segni di grande vitalità: ultimo in ordine di tempo a resistere sulle scene continentali della Champions è stato il Milan, il glorioso ancorché raffazzonato Milan di quest’anno, spazzato via in maniera piuttosto spiccia dall’Atletico Madrid. La restante compagnia (ai nastri di partenza della Champions League, ricordiamo, le italiane si erano presentate in quattro) era out già da tempo: con rimpianti (e rimorsi?) invero tardivi soprattutto da parte di quella Juventus che ha rimandato per l’ennesima volta il tentativo di scalata alla coppa più prestigiosa (e nei confronti della quale, come abbiamo già notato, sembra ergersi il muro del fato). Molti dei cosiddetti addetti al lavoro si sono adontati quando il cittì Prandelli ha fatto notare questo gap, che lo impensieriva pensando alla preparazione più prossima dei calciatori che a breve varcheranno l’oceano per la fase finale del mondiale brasiliano. L’amichevole con la Spagna e la débâcle dei club hanno molto, e a ragione, rabbuiato Prandelli: cui, per sua stessa ammissione, mai in precedenza “era capitato di vedere una tale differenza di condizione tra noi e gli avversari”. “È una questione generale, di intensità: il nostro calcio – ha evidenziato il ct – non ha i ritmi alti degli altri campionati, non siamo abituati a pressare. E poi dobbiamo rivedere alcuni concetti dalle basi: noi parliamo di pressing e ancora pensiamo a difesa e attacco, gli altri invece fanno densità, squadra corta, corsa continua, intensità”. Che fare?