FACILE RINGRAZIARE DIO QUANDO FILA TUTTO LISCIO…

Salve, le scrivo perché non riesco più a tenermi dentro la mia rabbia che provo nei confronti di una certa ipocrisia. Precisamente quella di chi afferma di essere un cattolico praticante modello, tutta casa e preghiera. Salvo poi, però, non appena le cose non girano nel verso giusto, dimenticarsi della preghiera e di Dio. Quando va tutto bene è facilissimo pregare e ringraziare il Signore; tutto diventa invece maledettamente più complicato quando la vita ci riserva sofferenze e dolori. Una frase che spesso ripeteva mio nonno mi è rimasta scolpita nella mente e nel cuore. “Da ragazzo – mi diceva – pur essendo un buon cristiano la vita si è accanita con me facendomi conoscere la guerra, il dolore, la fame, l’angoscia, gli stenti, la malattia. Ora, da anziano, soffro per i miei continui e pesanti problemi fisici… Le mie preghiere e la mia buona condotta di cristiano rispettoso di Dio, allora, non sono servite a niente? Ma c’è veramente qualcuno lassù che ci ascolta?”. So benissimo che la preghiera non serve a mettere Dio a nostro servizio e che Gesù è stato il primo, da innocente, a soffrire per noi, però vorrei che qualcuno mi spiegasse il perché di tanta sofferenza e ipocrisia in questo mondo. Quando infatti hai un lavoro stabile, una salute di ferro, un conto in banca prosperoso e una famiglia serena ti viene naturale di ringraziare il Signore. Prova invece a farlo

da disoccupato, con i debiti che ti stanno togliendo il respiro e magari con tuo figlio alle prese con problemi di droga… Non voglio essere blasfemo, padre, ma viviamo in un mondo ipocrita ed egoista, pronto subito a voltarti le spalle e a esprimere giudizi…  Alfredo

C’è tanta gente che ha quello che tu dici e non ringrazia per niente Dio. Anzi nemmeno se ne accorgono di essere fortunati perché incapaci di mettersi nei panni degli altri. C’è tanta gente, invece, che invoca Dio, a volte magari impreca, quando questa “fortuna” mostra la sua fragilità o con la malattia, o con la morte, o con il disaccordo su questioni del possesso dei beni. La vita è complessa e la gratitudine non accompagna, normalmente, la vita del ricco. Sia questo cristiano o meno. Anzi, noi cristiani, dice papa Francesco “a volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano”.

La bibbia ci dice invece che sono i poveri ad avere piena fiducia in Dio e non i ricchi. I primi sperimentano la fragilità della vita e quindi si affidano a Dio, i secondi si illudono in deliri di onnipotenza. Oggi, poi, l’individualismo esasperato sta portando, come dice sempre papa Francesco, alla cultura dello “scarto” perché gli emarginati aumentano. Gran parte del mondo va su queste strade e vive queste situazioni. Ma io, tu, noi come singoli e come chiesa, come popolo cosa possiamo fare?

La prima cosa che non dovremmo fare è prendere la fede come un’assicurazione. Non è così. La fede dona speranza e saggezza della vita. Sempre. Sia nel benessere che nella sfortuna.

La seconda cosa è pensare che la fede dia sempre una risposta su tutto. Come sulla sofferenza del giusto e/o dell’innocente. No! Ci sono risposte rimandate ad altri momenti e, sicuramente, su altri sentieri. La fede ci dona la fiducia in Dio che è padre e la sa più lunga di noi.

La terza cosa è che la fede ci dice che siamo un popolo in cammino verso l’eternità e il senso del pellegrinaggio è darsi una mano fino alla meta. Non esistiamo solo per noi stessi.

è vero, siamo gente individualista, egoista, consumista, ipocrita. Chi più e chi meno. “Mondani”, direbbe il nostro papa. “Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano. Ha ripiegato il cuore all’orizzonte chiuso dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene”. Un bene falso con un dio tappabuchi.

Cosa fare? Ancora papa Francesco: “La gioia del vangelo riempie il cuore, la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Ecco, dovremmo incontrare Gesù per scoprire che non siamo più soli ma lui accompagna la nostra esistenza, la nostra sofferenza, la nostra morte. E chi incontra il Signore sul serio non fa le prediche su quello che bisognerebbe fare, fa e basta. Non si lascia rubare la speranza e la fiducia. Si scoprirà, allora, che c’è qualcuno non solo lassù. Solo che le sue strade non sono le nostre strade e i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Però se prendiamo la strada giusta troveremo un Dio che diventa compagno del nostro viaggio e che saprà indicarci il sentiero giusto nel momento dello smarrimento.