SPECIALMENTE AL TRAMONTO, LA NATURA SEMBRA INCENDIATA DAL SOLE, COME DEVE ESSERE APPARSA AI DISCEPOLI QUANDO PRONUNCIARONO QUELLA ESPRESSIONE SENZA TEMPO: RESTA CON NOI SIGNORE, PERCHÉ SI FA SERA Quando leggo i fatti accaduti 2000 anni fa nel giorno di Pasqua, mi sembra di assistere a un fuoco d’artificio. Le apparizioni del Risorto si succedono a un ritmo incalzante. Fra tutte, la più originale è quella lungo la strada che porta a Emmaus. Anche letterariamente parlando può classificarsi tra gli episodi più avvincenti del vangelo. “In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino? Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni? Domandò loro: Che cosa? Gli risposero: Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno… Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (Lc 24,13-21).
Nessuno avrebbe immaginato un’apparizione di questo tipo. Intromettersi cioè in una conversazione privata tra due persone che camminano per strada. Ciò che stupisce è il modo con cui Gesù interviene, quasi facendo lo gnorri. Però ci tiene a sapere l’argomento della conversazione e insiste con la domanda che li lascia sconcertati. Gesù allora disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture? Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone! Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.
Troppo bello questo racconto per non essere trascritto per intero. Contiene un particolare che mi fa letteralmente impazzire. La linearità del comportamento del Risorto. All’inizio si presenta sotto le sembianze di un viandante casuale. Ora che i compagni di viaggio sono giunti a destinazione, con naturalezza prosegue “come se dovesse andare più lontano”. Questa volta lui vuole essere invitato. Sa che dalla bocca di quei due discepoli scaturirà una preghiera speciale che rimarrà nei secoli come regola d’oro per tutti i cristiani che, nei momenti di solitudine, ricercano il suo conforto. Difatti lo invitano dicendo: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto… Quando fu a tavola con loro prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. Questo evento è stato qualificato dallo studioso francescano padre Marcello Badalamenti come il primo miracolo eucaristico dopo la Pasqua del Signore.
Quel villaggio non poteva cadere nell’oblio. Nel corso dei secoli ci furono diversi tentativi per identificarlo. Ma non tutti con risultati plausibili. Dal III secolo si affermò l’ipotesi, supportata peraltro da personalità di spicco come Origene, Eusebio e Girolamo, secondo cui la Emmaus citata da Luca viene identificata con l’omonima località del libro dei Maccabei. In effetti ai versetti 3,40; 4,3; 9,50 ritorna più volte una città chiamata Emmaus. Ma questa ipotesi non è sostenibile, perché se da una parte il nome è uguale, dall’altra la distanza differisce di molto. L’evangelista Luca parla di “un villaggio di nome Emmaus distante circa undici chilometri da Gerusalemme”, mentre la località del libro dei Maccabei sta a trenta chilometri. Ne consegue che nel primo caso i discepoli avrebbero coperto una distanza di ventidue chilometri; nel secondo, avrebbero dovuto fare sessanta chilometri. Ciò non è possibile neppure se fossero stati maratoneti. Eppure questa ipotesi venne sostenuta fino al XIV secolo, quando l’autentica Emmaus fu localizzata, con convincenti prove archeologiche, nel sito di el-Qubeibeh a ovest di Gerusalemme.
Il santuario che attualmente si presenta davanti ai visitatori fu costruito dai francescani agli inizi del XX secolo. La chiesa a tre navate fu consacrata nel 1902 dal beato Andrea Ferrari cardinale di Milano. “Negli ampi basalti di pietra – scrive padre Badala-menti – è riconoscibile la strada romana che portava a Gerusalemme. All’interno l’edificio custodisce i resti della casa di Clèopa. Bellissime finestre istoriate, sono a ricamo alle pareti spoglie della chiesa, ricordando con una frase evangelica a effetto, i passaggi significativi dell’episodio evangelico di Emmaus”. Un visitatore è rimasto colpito dal panorama mozzafiato che si gode dal giardino dei francescani. Dice che, specialmente al tramonto, la natura sembra incendiata dal sole, come deve essere apparsa ai discepoli quando pronunciarono quella espressione senza tempo: “Resta con noi Signore, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”.
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